mercoledì 15 dicembre 2010

BUONGIORNO

Buongiorno è il giorno in cui si attende qualcosa, il giorno che ci accoglie con l'aria tersa e profumata. Buongiorno è il giorno in cui si aspetta qualcuno, quello in cui si dà inizio al viaggio. Buongiorno è il saluto che anticipa la fatica quotidiana, l'augurio per un esame da superare. Buongiorno è l'uomo di fronte al reale quando lo investe con energia positiva. Buongiorno è l'auspicio per i giovani lucani che studiano nelle università e per quelli che cercano lavoro. Buongiorno è la coscienza di quanti lavorano lontano da casa, la speranza di tanti che il lavoro lo cercano. Buongiorno è quello di una terra ricca di risorse anche se i suoi abitanti non ne ricavano alcun beneficio. Buongiorno è la nascita di un figlio, buongiorno è l'incontro con un amico. Buongiorno è una lettera dall'Argentina, i saluti dal Canada, il vaglia dalla Germania. Buongiorno è la stretta di mano di chi parte, l'abbraccio di chi torna. Buongiorno è l'inizio del lavoro quotidiano, il ripetersi di un incontro leale. Buongiorno è l'amico che non tornerà e quello con cui ricordarlo. Buongiorno è la promessa del giorno già tutta dentro l'alba appena accennata. Buongiorno sono i soliti volti, sempre gli stessi e sempre diversi che scandiscono la nostra vita. Buongiorno è il figlio al primo giorno di scuola, buongiorno è il figlio all'esame di laurea. Buongiorno è la vita dignitosa dei nostri nonni, la laboriosità dei nostri padri. Buongiorno è la pazienza della nostre madri, la saggezza delle nostre nonne. Buongiorno è la tenacia dei nostri imprenditori, il coraggio dei nostri figli. Buongiorno è il giuramento di Ippocrate, l'amore al lavoro dei nostri artigiani. Buongiorno e l'inizio di questo giornale. Cari amici e cari avversari, incontri occasionali e vecchie amicizie, buongiorno a tutti. (www.buongiornoitalia.info

sabato 15 maggio 2010

Dell'affaire Cerere-Barilla: quello che molti non sanno e troppi fanno finta di non sapere



La storia recente dell'ex stabilimento pastaio della Barilla in un Instant Book firmato da Filippo de Lubac. "Le mani in pasta... ed anche altrove" ripercorre fatti, nomi e circostanze protagonisti di una di quelle vicende che solo in Basilicata possono accadere. Un'intera fabbrica finanziata con i fondi del terremoto 1980 viene smantellata da operai russi giunti nottetempo e ripartiti dopo un mese d'intenso lavoro.

lavoratori russi
I macchinari imbarcati e spediti alla Kubanskaya Makaronnaya Fabbrica” in quel di Krasnodar (Russia) dopo un sequestro lampo della nave in rada, firmato e revocato in 24 ore dalla Procura della Repubblica di Matera. U'altro opificio, finanziato con fondi pubblici, è quello della Cerere. Valorizzare le produzioni cerealicole della collina materana, questa la finalità e l'impegno assunto in sede di erogazione di 14 miliardi e passa di lire italiane.

Arriva un Filippo Tandoi, industriale pugliese, e si compra tutto ai primi di settembre 2005. E' vietato, ma lui lo fa con il plauso degli industriali, dei politici e sotto gli occhi della Procura della Repubblica di Matera. Il Capo, Giuseppe Chieco,

Giuseppe Chieco
da anni risulta indagato per gravissime ipotesi di reato fra le quali l'associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari (è stata formulata richiesta di archiviazione, le opposizioni si discuteranno davanti al Gip di Catanzaro il 18 giugno 2010). Dei quaranta soci-agricoltori iniziali ne restano dieci a lottare in una sfida impari. Denunciano tutto alla Procura della Repubblica, al Ministero delle Attività Produttive, ai NAS, all'OLAF (organismo europeo di vigilanza sulle malversazioni nei finanziamenti) e siamo ancora nel settembre 2005, ma non accade nulla. Passano gli anni. Lo Stato ha "accompagnato" gli operai del dismesso opificio Barilla verso prepensionamenti e/o trasferimenti e quanto altro si usa in questi casi. Tandoi ne ha accolto alcuni, presso la Cerere ed in cambio ha messo le mani sul suolo della fabbrica dismessa in zona urbana. La Procura di Matera ha concluso le indagini e chiede il rinvio a giudizio per alcuni degli industriali, dei politici, dei faccendieri che hanno contribuito all'opera; contemporaneamente sequestra lo stabilimento "Cerere" e lo affida in gestione al principale indagato. Siamo a Febbraio 2009. Passa un altro anno e un commissario prefettizio, tre giorni prima dell'elezione del sindaco che lo sostituirà alla guida di Matera, accoglie la richiesta di Filippo Tandoi (sempre in attesa che si decida sul suo rinvio a giudizio per "malversazione in danno dello Stato") e trasforma la destinazione urbanistica del suolo ex-Barilla. Verde pubblico? Servizi per i cittadini? NO! Civili abitazioni. Questa è la nostra città, specchio di un'Italia allo sbando dove un ministro può permettersi di dichiarare che gli hanno comprato la casa in cui abita a sua insaputa. Cosa sarà del suolo ex-Barilla? La domanda al neo sindaco Salvatore Adduce.

p.s.
"Le mani in pasta... ed anche altrove", un instant book nell edicole di Matera racconta la storia dell'affaire Cerere-Barilla: quello che molti non sanno e troppi fanno finta di non sapere.




domenica 18 aprile 2010

Adesso parliamo di elezioni in Lucania (parte prima)


Solo adesso è opportuno parlare perché i dati sono lì, fermi, incontrovertibili e, per una volta, facili da leggere. Al governo della Regione Basilicata è stata preferita la coalizione che riproponeva a presidente l'uscente governatore Vito De Filippo con il 67% dei suffragi. Commenti? Nessuno, troppo netta l'affermazione. Indiscutibili i numeri. Sono solo due le ipotesi, si fa per dire: 1) I lucani sono entusiasti della classe politica che li governa da tre lustri; 2) Il voto non è libero e forse è pure truccato a giudicare dagli episodi verificatisi a Matera e noti alle forze dell'ordine. Sarebbe già utile ricordare che nel 2005 vi furono arresti ed indagini serrate per brogli elettorali in quel di Scanzano Jonico e che, a distanza di 5 anni, la D.ssa Annunziata Cazzetta della Procura di Matera nulla ha ancora concluso in merito. Fatto tanto più rilevante se si considera che uno degli indagati, già iscritto con due anni di ritardo nell'apposito registro, è stato il presentatore della lista provinciale del PdL lucano alle scorse elezioni regionali. E cosa c'è di male, osserverà l'avvocato Nuccio Labriola? Nulla, salvo spiegare come è possibile escludere un candidato (Pasquale Di Lorenzo) durante le ore notturne e raccogliere 1300 firme entro la mattina successiva in cui si è presentato a depositare la lista in Tribunale ad una cancelleria cieca, sorda e muta. È un mondo di bari, di giocatori che si presentano al tavolo con gli assi nella manica e sono tollerati da altri bari come loro. Quelli che nei Palazzi di Giustizia, sfacciatamente, distribuiscono e accettano pacche sulle spalle per dimostrare una sconveniente familiarità con i magistrati in servizio!
E la società civile, il popolo tanto invocato partendo da Berlusconi per finire a Vendola? Beh, quello siamo tutti noi e ciascuno sa rispondere a quest'interrogativo, anche se un po' se ne vergogna. Così accade che a Matera il sindaco eletto si chiami Salvatore Adduce solo perché una “coalizione” l'ha imposto e centosettantanove elettori l'hanno preferito ad Angelo Raffaele Tosto. Poco o nulla sembra scalfire la protervia dello “zoccolo duro” (che oggi più che mai appare essere uno zoccoletto) di quei nostalgici e anacronistici “compagni” che preferiscono non vedere che questa “vittoria” sancisce il “de profundis” di un'epoca. Davvero pensano di gloriarsi di una striminzita elezione favorita da personaggi tipo Buccico, Antezza, Viceconte ed altre 176 persone dabbene? Davvero si sente legittimato a governare Matera un sindaco che ha preso la metà dei voti della sua coalizione? Davvero pensa che siano ignoti gli apporti elettorali delle imprese implicate in gravissimi episodi di malcostume edilizio che operano a Matera con coperture nei palazzi di Via Aldo Moro? Il primo scoglio per Adduce è già lì, ingombrante e incombente: cosa farà il signor Sindaco delle delibere assunte in extremis dal Commissario Prefettizio dr. Calvosa? Già, perché un intenso traffico di ex-amministratori si è sviluppato nelle ultime ore di mandato del commissario chiamato a reggere il Comune di Matera dopo la rovinosa caduta del sindaco Emilio Nicola Buccico. Frequentazioni intense e prolifica attività deliberativa di cui Adduce dovrà chiedere conto. Posto che l'ordinaria amministrazione, attività demandata al Dr. Calvosa, è stata interpretata come un mandato proconsolare ed il nostro ha deliberato in pochi giorni più di quello che Buccico aveva deliberato in due anni. Buon lavoro, signor sindaco. Molti la stanno a guardare.

mercoledì 7 aprile 2010

Felicia, Filomena, Olimpia, Marisa e quella “lieta speranza” che rende la vita più umana

Le notizie si susseguono impetuose ed i commenti quasi le sopravanzano. Il ritrovamento dei poveri resti di Elisa Claps nel sottotetto della chiesa dedicata alla Santissima Trinità in Potenza ha prodotto un evento straordinario: l'attenzione dell'opinione pubblica nazionale su una tragica vicenda umana prima ancora che giudiziaria. Quella che sino a pochi giorni fa era per molti una scomparsa misteriosa, oggi è per tutti un omicidio efferato. Dai familiari di Elisa, stremati ma non vinti dopo diciassette anni di testimonianza civile, dignitosa e non priva di una qualche fierezza, sino agli inquirenti di oggi, senza tralasciare tanti cittadini “comuni”, tutti sono determinati a portare sino in fondo quel diritto/dovere alla verità ed alla giustizia che oggi sembra finalmente raggiungibile. Alcune evidenze arriveranno dai dati autoptici e dai rilievi della polizia scientifica e questo potrebbe disvelare persino l'identità dell'esecutore materiale del tremendo crimine, fondamentale. Altrettanto importanti saranno le domande cui l'unico indagato sarà chiamato a rispondere. Quelle domande che Felicia Genovese, PM all'epoca della scomparsa e per un lungo corso temporale a seguire, non pose all'indagato e poi imputato Danilo Restivo. Altri interrogativi, anche questi mai formulati dal signor PM, non possono più essere posti al prete che quel 12 settembre 1993 celebrò messa prima e dopo l'arrivo di Elisa nella chiesa da cui è uscita cadavere qualche settimana fa. Don Mimì è venuto a mancare da un paio d'anni, portando con sé il segreto di quel 12 settembre iniziato con le celebrazioni della domenica mattina e concluso in un centro termale da cui tornò dopo quattro giorni. Più d'uno ha visto e ascoltato Felicia Genovese interrogare gli imputati nei processi di mafia, incalzarli, metterli alle corde, sfiancarli ed inseguirli sino alla capitolazione. Qualcuno ha assistito agli interrogatori del medesimo magistrato a Danilo Restivo e Don Mimì Sabia. Registrati e ritrasmessi in questi giorni di rinnovato interesse mediatico. Toni pacati, poche domande, accenni di risposta già nella formulazione del quesito. E la conduzione delle indagini? La polizia che aspetta due ore l'autorizzazione per sequestrare i pantaloni ed il giubbotto sporco di sangue di Danilo Restivo quel 12 settembre e quell'ordine di “tornare in centrale” a mani vuote. I tabulati telefonici mai richiesti e mai acquisiti. E tutti gli errori successivi, negli anni e nelle altre indagini? Perché un magistrato esperto e determinato come Felicia Genovese commette tanti errori, perché ignora le piste sulla massoneria deviata suggerite dai carabinieri di Calanna, perché mantiene l'inchiesta sull'omicidio Gianfredi (1997) anche quando compare il coinvolgimento incolpevole di suo marito, perché non iscrive fra gli indagati l'avv. Labriola nell'inchiesta sui brogli elettorali (2005) di Scanzano Jonico? Sono domande che sono state poste da altri magistrati, alcune sono state oggetto di denuncia contro la D.ssa Genovese. Ma restano senza risposta, anche dopo l'archiviazione dei procedimenti penali. Sono domande che oggi più che mai sarebbe opportuno porre alla D.ssa Felicia Genovese e delle cui risposte la famiglia Claps, la famiglia Gianfredi, la famiglia Orioli, le famiglie dell'Associazione Penelope, la Lucania intera hanno diritto. Per riconciliarsi con quella Giustizia che non potrà restituire gli affetti prematuramente scomparsi ma che ha il dovere di individuare e perseguire i colpevoli. “Donna perché piangi?” disse Gesù a Maria di Màgdala e questa, credendolo il custode del giardino in cui era collocato il sepolcro, rispose: “Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”. Quante volte, quante mamme hanno chiesto solo di sapere dove fosse il corpo del figlio scomparso. Quante volte abbiamo sentito questo grido da mamma Filomena? E adesso che la preghiera è stata esaudita non v'è forse bisogno di qualcosa d'altro per pacificare quel cuore straziato? Gesù rispose a Maria chiamandola per nome: “Maria”. Come a dire sono io la risposta alla morte, alla disperazione. Sono io la promessa della vita eterna. C'è un passaggio nella celebrazione del sacramento del Battesimo che commuove solo a ricordarlo: “Dio onnipotente, che per mezzo del suo Figlio, nato dalla vergine Maria, ha dato alle madri cristiane la lieta speranza della vita eterna per i loro figli, benedica voi mamme qui presenti...”. C'è forse una promessa più grande per una madre? C'è forse una speranza più pacificante? Dobbiamo solo pregare che la grazia della Pasqua raggiunga ogni uomo, che ciascuno si senta chiamare per nome da quel Cristo che solo può aiutarci a portare il peso di tanto dolore nella lieta speranza della vita eterna per i nostri figli, per i nostri cari e persino per i nostri nemici.

lunedì 29 marzo 2010

Lucania: Da noi la Malvarosa è un fiore

(Un popolo oppresso senza desiderio di riscatto)

Che gli abitanti della Basilicata siano un popolo oppresso, è un dato oggettivo. L'economia nazionale li vede agli ultimi posti per reddito pro-capite; l'occupazione agli ultimi. La giustizia è fra le più lente d'Italia e i clamorosi limiti di magistrati inquirenti, spesso imparentati con gli indagati, emergono clamorosamente negli omicidi di cui non si viene a capo da oltre un ventennio. Manco a dirlo, la politica non si lascia distaccare in questa classifica a perdere. Basta vedere gli indagati ed i condannati per gravissimi reati contro l'Erario ed il patrimonio che impunemente e proditoriamente si espongono al pubblico consenso dai manifesti elettorali. Trionfa l'antitesi della società civile: la società ignava. Occorre sbrigarsi per dirlo, prima che si aprano le urne, prima che De Filippo torni ad occupare lo scranno che ha occupato da 5 anni a questa parte. Che non sia sbrigatamente giustificato come “nondum matura est”. Il vero problema dei lucani è l'ignoranza, quella profonda e radicata mancanza di conoscenza dei fatti resa possibile dal più basso indice di lettura del mondo occidentale. Questo record fra i records non ha colore, né censo. Diplomati, laureati, operai, dirigenti: i lettori lucani sono una sparuta minoranza. Val la pena considerarlo quando sorge l'impeto dell'indignazione per le servili cronache a favore e tutela del tale e del talaltro. Quella cronaca verrà letta da pochi “eletti”, quella casta di potenti stile capo-tribù che dispone dei mezzi per vivere agiatamente e per spandere lussi e mollezze ai propri discendenti, ascendenti e sodali. Così le eventuali repliche, precisazioni e proteste. Tutto resterà nel ristretto giro degli addetti ai lavori mentre il popolo, pieno di affanni, continuerà ad elemosinare la sussistenza quotidiana che, in qualche modo più o meno dignitoso, gli verrà assicurata. Vincerà il “De Filippo” di turno, fino a quando i borghesi non sdegneranno se stessi oppure il popolo prenderà a leggere i giornali invece che bruciarsi il desiderio di riscatto dietro i grattaevinci.


LUCANIA

Io lo conosco
questo fruscìo di canneti
sui declivi aridi
contesi dalla frana
e queste rocce magre
dove i venti e le nebbie
danno convegno ai silenzi
che gravano a sera
sul passo stanco dei muli.
E' poca l'acqua che scorre
e le vallate son secche
spaccate, d'argilla.
Di qui le mandrie migrano
con l'autunno avanzato
per la piana delle marine
tuffando i passi nelle paludi.
Di qui è passata la malaria
per le stazioncine sul Basento
squallide, segnate d'oleandri.
Da noi la malvarosa è un fiore
che trema col basilico
sulle finestre tarlate
in un vaso stinto di terracotta
e il rosmarino cresce nei prati
sulle scarpate delle vie
accanto ai buchi delle talpe.
Da noi si riposa il falco e la civetta
segna la nostra morte.
Da noi il mondo è lontano,
ma c'è un odore di terra e di gaggìa
e il pane ha il sapore del grano. (Mario Trufelli)

giovedì 18 marzo 2010

Chi ti ha detto che eri nudo? L’origine del moralismo

Che fossero nudi, Adamo ed Eva, è un fatto. Addirittura un fatto costitutivo, erano stati creati così. Da questo dato oggettivo scaturiva un comportamento consequenziale: giravano nudi per il giardino dell’Eden. Così, quando ebbero a nascondersi all’arrivo del Creatore, Dio pose ad Adamo la domanda: “Chi ti ha detto che eri nudo”? Cioè, “da dove nasce il tuo giudizio morale”? Era appena nato il moralismo. La pretesa di possedere l’origine del giudizio: “Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene ed il male”. La pretesa moralistica, il singolo uomo arbitro e fonte della morale (conoscere il bene ed il male), stabilisce la divisione delle divisioni: la frattura fra la morale e l’origine della morale, fra l’uomo ed il creatore dell’uomo, fra la libertà e la natura della libertà. L’interruzione diabolica di questo rapporto (dia-ballo= dividere, separare) avviene stabilendo una nuova sorgente dell’azione: l’uomo da solo decide cosa è opportuno, cosa è lecito e cosa è impudico: “ero nudo e mi sono nascosto”. Il moralismo si mostra come una verità incontrovertibile, oggettiva: davvero erano nudi, tanto che contro il moralismo si fa fatica a trovare argomentazioni consistenti, almeno in prima battuta. Poiché la separazione dell’uomo dalla sua stessa natura (fatto a Sua immagine e somiglianza) lo rende incapace di atti ontologicamente morali. È nell’esperienza, quando si affronta la realtà, che ci si accorge di tutti i limiti di una posizione moralistica. Nascono così i partiti degli “onesti”, i profeti della “pubblica moralità”, le patenti di “uomini perbene”. E chi decide chi è dentro e chi fuori? Apparentemente si demanda ad una teoria di regole. Chi ti ha detto che eri nudo? La tabella tale, il codice etico, lo statuto del partito o dell’associazione, il casellario giudiziale. Invero l’esigenza di giustizia, di verità, di bellezza, in una parola di libertà, è talmente umana, talmente radicata nella natura stessa di ciascuno di noi da emergere insopprimibile anche nella situazione di divisione in cui siamo precipitati quando abbiamo posto a fondamento della vita e dei rapporti il moralismo, la nostra pretesa di incardinare l’origine del giudizio nella nostra personale conoscenza del bene e del male prescindendo dall’esperienza, in una sequenza di regole astratte, di leggi, di assunti. La nostra vera umanità riconosce e desidera aderire alla natura ultima del nostro essere. In pratica, realmente siamo in grado di distinguere il bene dal male solo che ci affidiamo a quello che il cristianesimo chiama il “cuore”: il contraccolpo che suscita in noi l’esperienza, il paragone con la realtà. “Ha mentito, è umano. Ha rubato, è umano. Ma questo non è il vero essere umano. Umano è essere generoso, umano è essere buono, umano è essere un uomo della giustizia e della prudenza vera, della saggezza” (Benedetto XVI). Qualche esempio chiarisce meglio di tanti discorsi. La legge prevedeva che in occasione della Pasqua un condannato a morte ricevesse la grazia. Fra Gesù e Barabba fu scelto il secondo. Dovendo distribuire la propria eredità, un genitore sceglie di fare parti uguali anche se un figlio è immensamente ricco, e l’eredità nulla cambia nella sua condizione, e l’altro assolutamente povero. “L’ingiustizia più grande è dividere in parti uguali fra diversi” (Don Lorenzo Milani). Non è immorale (o morale) l’uomo, lo sono le sue azioni che non vanno giudicate in base ad un decalogo bensì in relazione all’esperienza, al paragone con le esigenze del “cuore”. Così non è umano attribuire la patente di “onesti” ad una lista di candidati scelti sulla base di un certificato del casellario giudiziario allo stesso modo in cui non è umano riconoscere il passpartout a chi “assicura” gli interessi della “mia” parte abusando dell’altra. “Chi ti ha detto che eri nudo”?, questa è la domanda che mette in crisi i moralisti dell’una e dell’altra parte!

domenica 7 marzo 2010

I giudici soggetti solo al Governo, lo dice la Gazzetta Ufficiale

È un vecchio adagio che aleggia nelle aule dei ribunali di tutto il mondo, credo! “Le leggi per alcuni si applicano, per altri si interpretano”. Forse molti di noi ne hanno fatto esperienza diretta, seppur silenziosa e irriferibile pena alti strepiti e stracciamento di purpuree vesti. La consegna del silenzio valeva sino a qualche ora fa. Valeva quando il CSM trasferì ad altra funzione ed altra sede Luigi de Magistris, Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani rei di aver applicato la legge e svolto il proprio lavoro. Valeva quando i magistrati di Catanzaro sequestrarono i documenti relativi alle indagini a loro carico. Si ripresero, intepretando la legge a loro personale vantaggio, quanto era stato loro legittimamente sequestrato applicando la legge. Valeva, quando 700 cittadini di Matera chiesero al CSM di trasferire Vincenzo Tufano e Giuseppe Chieco, due magistrati indagati (e lo sono ancora oggi, in attesa che il Gip di Catanzaro si pronunci sulle diverse istanze di opposizione all’archiviazione delle pendenze loro ascritte) di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari. Valeva quando Clementina Forleo venne trasferita per non aver interpretato la legge a favore di Massimo D’Alema & Compagni (ex PCI) nell’affaire BNL-UNIPOL. Valeva in tanti altri casi, in tutti quelli in cui magistrati, giornalisti, avvocati, politici e cittadini comuni hanno preferito tacere, ignorare, girare il capo, tapparsi le orecchie e turarsi il naso. Non sono i potentati ad avere la responsabilità di questo silenzio omertoso, sono i singoli. Il magistrato, il giornalista, l’avvocato, il politico, il cittadino, ciascuno ha la responsabilità di aver taciuto per indole, per comodo, in verità per viltà. Questo è, anzi era, il dramma. La viltà di molti che ha reso esaltante e persino epico il sacrificio dei pochi magistrati, giornalisti, avvocati, politici e cittadini che non hanno piegato la schiena. Non è una questione di destra o di sinistra, nemmeno di centrismo più o meno ballerino ed opportunista. È una questione di uomini.
Ad ogni buon conto, è una questione risolta. Da oggi, per decreto ministeriale, è sancito che la legge si interpreta e non si applica. Di più, si stabilisce anche che ad interpretare non sono i magistrati, un tempo soggetti solo alla legge. Oggi interpreta il governo ed i magistrati diventano i notai delle interpretazioni governative. Così il capo dello Stato, invocato e silente in questi anni di sfacelo giudiziario ed oggi notaio acquiescente del nuovo corso. I magistrati sono soggetti non più alla legge ma all’interpretazione della stessa. Dettata, per decreto, dal governo in carica.
Finalmente lo potranno dire anche i pavidi, basterà che citino la Gazzetta Ufficiale e nessuno potrà disturbare la loro tranquilla esistenza di sudditi.

giovedì 4 marzo 2010

Cognati, cugini, zii, nipoti e nonni: inizia la campagna elettorale familistica

E' uno dei segni evidenti del degrado della politica. Corrono in tanti, molti non sanno nemmeno perché o per cosa. C'è chi fa spallucce, perché il fine giustifica i mezzi che poi sarebbero le aspirazioni di qualcuno, più o meno grossolanamente perseguite, ovvero una mai sopita voglia di essere protagonisti della "Res Publica"
Queste le posizioni da individuare con chiarezza prima di scegliere per chi votare. Non è il "voto utile" che si intende propagandare, poichè ciascun voto utile lo è già di per sè in quanto libera espressione della volontà di un cittadino. Ma sono davvero libere le volontà dei cittadini materani? L'estrema frammentazione del voto, fra gli ottocento candidati, rende riconoscibile la singola preferenza. Bisogna prepararsi a rendere conto del perché e del percome, anzi sarebbe preferibile farlo in anteprima. Evitarsi il rimbrotto di chi, avendo ricevuto rassicurazioni di un voto certo, dovesse poi contestare di non aver riscontrato preferenze nella tal sezione. Sarebbe anche utile argomentare bene sulla scelta della preferenza. Deprimente sentir giustificare l'impegno per il tale che sarebbe cugino, cognato, nipote, zio e persino nonno. Non è accettabile vedersi preferire il tizio perché parente di ennesimo grado. Siamo in una competizione elettorale, i prescelti devono essere all'altezza del compito che li aspetta e, possibilmente, essere noti per la probità e la libertà con cui affrontano la vita e la società. Cosa centrano le parentele?
Nicola Piccenna, giornalista