lunedì 26 settembre 2011


Enzo Iacopino

Un giornale che nasce è motivo di soddisfazione per chiunque creda nel diritto dei cittadini ad avere quante più informazioni possibili su quel che accade. Il momento non è dei più favorevoli. Ancor prima della non marginale difficoltà economica generale, c’è, nei confronti del nostro mondo, un’aggressione che trasversalmente vede d’accordo tutte le forze politiche. Si fa un gran parlare, ad esempio, dei limiti da porre alla pubblicazione delle intercettazioni e l’attuale opposizione critica, giustamente, le ipotesi contenute in quel che resta del disegno di legge Alfano. Ma queste norme, i documenti sono lì, sono per quanto inaccettabili meno gravi di quelle che vennero approvate alla Camera quando l’allora Guardasigilli, Clemente Mastella, presentò un suo provvedimento sulla materia. Il presidente del Consiglio non era Silvio Berlusconi, ma Romano Prodi e la maggioranza parlamentare era di segno opposto. Dissero no a quel provvedimento pochissimi deputati, dei quali si è perduta traccia (per lo più) grazie anche ad una legge elettorale che consente la nomina e non l’elezione dei parlamentari. Potrà sembrare originale, ma quando tutta una classe politica si coalizza, salva qualche eccezione, contro il mondo dell’informazione, ciò significa, prima di tutto, che i giornalisti fanno il loro dovere. Sì, noi dobbiamo essere scomodi. Dobbiamo essere gli occhi e le orecchie dei cittadini. Dobbiamo rappresentare quel tramite essenziale di conoscenza piena di ciò che accade per consentire all’elettore di fare scelte consapevoli e responsabili. Non è solo questo il nostro dovere. Senza precipitare nella reticenza, abbiamo quello di avere rispetto per le persone, quale che sia il loro ruolo nella società, il loro credo religioso o politico, il colore della loro pelle, perfino la loro colpa. Suona bene, lo so, ma nella pratica non sempre onoriamo questo dovere. A volte qualcuno di noi si fa parte, rispettando queste regole elementari solo nei confronti di quanti condividono o rappresentano le idee che ha. È il sottile confine tra giornalismo e militanza. Varcarlo è facilissimo, ma è grave – imperdonabile – il tradimento del dovere che la Costituzione ci assegna nei confronti dei cittadini. Troppo spesso diventiamo strumento, non sempre inconsapevole, di partite che poco hanno a che vedere con il diritto alla verità. Ad esempio, ciò accade quando ci trasformiamo in buche delle lettere, pubblicando in maniera acritica pagine e pagine di trascrizioni di intercettazioni telefoniche. Passiamo sopra alle persone, anche a quelle non coinvolte nelle indagini, con la delicatezza di un mezzo cingolato. C’è necessità di raccontare che Tizia è l’amante di Caio, quando di tentativo di estorsione si parla e non di una vicenda sentimentale (che interesserebbe a chi, poi?). C’è necessità di parlare delle abitudini sessuali di Sempronio, coinvolto in una vergognosa vicenda di appalti e mazzette? Fare riferimento a come la stampa ha affrontato il caso di Sarah Scazzi è fin troppo facile. Mentre lo denunciavamo come sbagliato, tutto veniva replicato con Yara Gambirasio, alimentando un guardonismo precipitato nel turismo dell’orrore per vedere dov’è la casa dei “mostri” ad Avetrana. L’augurio che formulo ai colleghi che danno vita a questa iniziativa trae lo spunto dalle parole che ci ha rivolto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano invitandoci a fornire ai cittadini una “informazione pacata e responsabile”. Non servono la suggestione delle urla (che infastidiscono i più); il sensazionalismo dei titoli estremi (magari smentiti dal testo degli articoli); l’aggressività di aggettivi o di foto che creano crampi allo stomaco. La verità raccontata con parole essenziali e pacate porta con sé il dono della credibilità, tesoro prezioso per un giornale e per ogni giornalista.
di Enzo Iacopino