Che gli abitanti della Basilicata siano un popolo oppresso, è un dato oggettivo. L'economia nazionale li vede agli ultimi posti per reddito pro-capite; l'occupazione agli ultimi. La giustizia è fra le più lente d'Italia e i clamorosi limiti di magistrati inquirenti, spesso imparentati con gli indagati, emergono clamorosamente negli omicidi di cui non si viene a capo da oltre un ventennio. Manco a dirlo, la politica non si lascia distaccare in questa classifica a perdere. Basta vedere gli indagati ed i condannati per gravissimi reati contro l'Erario ed il patrimonio che impunemente e proditoriamente si espongono al pubblico consenso dai manifesti elettorali. Trionfa l'antitesi della società civile: la società ignava. Occorre sbrigarsi per dirlo, prima che si aprano le urne, prima che De Filippo torni ad occupare lo scranno che ha occupato da 5 anni a questa parte. Che non sia sbrigatamente giustificato come “nondum matura est”. Il vero problema dei lucani è l'ignoranza, quella profonda e radicata mancanza di conoscenza dei fatti resa possibile dal più basso indice di lettura del mondo occidentale. Questo record fra i records non ha colore, né censo. Diplomati, laureati, operai, dirigenti: i lettori lucani sono una sparuta minoranza. Val la pena considerarlo quando sorge l'impeto dell'indignazione per le servili cronache a favore e tutela del tale e del talaltro. Quella cronaca verrà letta da pochi “eletti”, quella casta di potenti stile capo-tribù che dispone dei mezzi per vivere agiatamente e per spandere lussi e mollezze ai propri discendenti, ascendenti e sodali. Così le eventuali repliche, precisazioni e proteste. Tutto resterà nel ristretto giro degli addetti ai lavori mentre il popolo, pieno di affanni, continuerà ad elemosinare la sussistenza quotidiana che, in qualche modo più o meno dignitoso, gli verrà assicurata. Vincerà il “De Filippo” di turno, fino a quando i borghesi non sdegneranno se stessi oppure il popolo prenderà a leggere i giornali invece che bruciarsi il desiderio di riscatto dietro i grattaevinci.
LUCANIA
Io lo conosco
questo fruscìo di canneti
sui declivi aridi
contesi dalla frana
e queste rocce magre
dove i venti e le nebbie
danno convegno ai silenzi
che gravano a sera
sul passo stanco dei muli.
E' poca l'acqua che scorre
e le vallate son secche
spaccate, d'argilla.
Di qui le mandrie migrano
con l'autunno avanzato
per la piana delle marine
tuffando i passi nelle paludi.
Di qui è passata la malaria
per le stazioncine sul Basento
squallide, segnate d'oleandri.
Da noi la malvarosa è un fiore
che trema col basilico
sulle finestre tarlate
in un vaso stinto di terracotta
e il rosmarino cresce nei prati
sulle scarpate delle vie
accanto ai buchi delle talpe.
Da noi si riposa il falco e la civetta
segna la nostra morte.
Da noi il mondo è lontano,
ma c'è un odore di terra e di gaggìa
e il pane ha il sapore del grano. (Mario Trufelli)