Enzo Iacopino |
Un giornale che nasce è motivo di
soddisfazione per chiunque creda nel diritto dei cittadini ad avere
quante più informazioni possibili su quel che accade. Il momento non
è dei più favorevoli. Ancor prima della non marginale difficoltà
economica generale, c’è, nei confronti del nostro mondo,
un’aggressione che trasversalmente vede d’accordo tutte le forze
politiche. Si fa un gran parlare, ad esempio, dei limiti da porre
alla pubblicazione delle intercettazioni e l’attuale opposizione
critica, giustamente, le ipotesi contenute in quel che resta del
disegno di legge Alfano. Ma queste norme, i documenti sono lì, sono
per quanto inaccettabili meno gravi di quelle che vennero approvate
alla Camera quando l’allora Guardasigilli, Clemente Mastella,
presentò un suo provvedimento sulla materia. Il presidente del
Consiglio non era Silvio Berlusconi, ma Romano Prodi e la maggioranza
parlamentare era di segno opposto. Dissero no a quel provvedimento
pochissimi deputati, dei quali si è perduta traccia (per lo più)
grazie anche ad una legge elettorale che consente la nomina e non
l’elezione dei parlamentari. Potrà sembrare originale, ma quando
tutta una classe politica si coalizza, salva qualche eccezione,
contro il mondo dell’informazione, ciò significa, prima di tutto,
che i giornalisti fanno il loro dovere. Sì, noi dobbiamo essere
scomodi. Dobbiamo essere gli occhi e le orecchie dei cittadini.
Dobbiamo rappresentare quel tramite essenziale di conoscenza piena di
ciò che accade per consentire all’elettore di fare scelte
consapevoli e responsabili. Non è solo questo il nostro dovere.
Senza precipitare nella reticenza, abbiamo quello di avere rispetto
per le persone, quale che sia il loro ruolo nella società, il loro
credo religioso o politico, il colore della loro pelle, perfino la
loro colpa. Suona bene, lo so, ma nella pratica non sempre onoriamo
questo dovere. A volte qualcuno di noi si fa parte, rispettando
queste regole elementari solo nei confronti di quanti condividono o
rappresentano le idee che ha. È il sottile confine tra giornalismo e
militanza. Varcarlo è facilissimo, ma è grave – imperdonabile –
il tradimento del dovere che la Costituzione ci assegna nei confronti
dei cittadini. Troppo spesso diventiamo strumento, non sempre
inconsapevole, di partite che poco hanno a che vedere con il diritto
alla verità. Ad esempio, ciò accade quando ci trasformiamo in buche
delle lettere, pubblicando in maniera acritica pagine e pagine di
trascrizioni di intercettazioni telefoniche. Passiamo sopra alle
persone, anche a quelle non coinvolte nelle indagini, con la
delicatezza di un mezzo cingolato. C’è necessità di raccontare
che Tizia è l’amante di Caio, quando di tentativo di estorsione si
parla e non di una vicenda sentimentale (che interesserebbe a chi,
poi?). C’è necessità di parlare delle abitudini sessuali di
Sempronio, coinvolto in una vergognosa vicenda di appalti e mazzette?
Fare riferimento a come la stampa ha affrontato il caso di Sarah
Scazzi è fin troppo facile. Mentre lo denunciavamo come sbagliato,
tutto veniva replicato con Yara Gambirasio, alimentando un
guardonismo precipitato nel turismo dell’orrore per vedere dov’è
la casa dei “mostri” ad Avetrana. L’augurio che formulo ai
colleghi che danno vita a questa iniziativa trae lo spunto dalle
parole che ci ha rivolto il presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano invitandoci a fornire ai cittadini una “informazione
pacata e responsabile”. Non servono la suggestione delle urla (che
infastidiscono i più); il sensazionalismo dei titoli estremi (magari
smentiti dal testo degli articoli); l’aggressività di aggettivi o
di foto che creano crampi allo stomaco. La verità raccontata con
parole essenziali e pacate porta con sé il dono della credibilità,
tesoro prezioso per un giornale e per ogni giornalista.
di Enzo
Iacopino
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