lunedì 29 marzo 2010

Lucania: Da noi la Malvarosa è un fiore

(Un popolo oppresso senza desiderio di riscatto)

Che gli abitanti della Basilicata siano un popolo oppresso, è un dato oggettivo. L'economia nazionale li vede agli ultimi posti per reddito pro-capite; l'occupazione agli ultimi. La giustizia è fra le più lente d'Italia e i clamorosi limiti di magistrati inquirenti, spesso imparentati con gli indagati, emergono clamorosamente negli omicidi di cui non si viene a capo da oltre un ventennio. Manco a dirlo, la politica non si lascia distaccare in questa classifica a perdere. Basta vedere gli indagati ed i condannati per gravissimi reati contro l'Erario ed il patrimonio che impunemente e proditoriamente si espongono al pubblico consenso dai manifesti elettorali. Trionfa l'antitesi della società civile: la società ignava. Occorre sbrigarsi per dirlo, prima che si aprano le urne, prima che De Filippo torni ad occupare lo scranno che ha occupato da 5 anni a questa parte. Che non sia sbrigatamente giustificato come “nondum matura est”. Il vero problema dei lucani è l'ignoranza, quella profonda e radicata mancanza di conoscenza dei fatti resa possibile dal più basso indice di lettura del mondo occidentale. Questo record fra i records non ha colore, né censo. Diplomati, laureati, operai, dirigenti: i lettori lucani sono una sparuta minoranza. Val la pena considerarlo quando sorge l'impeto dell'indignazione per le servili cronache a favore e tutela del tale e del talaltro. Quella cronaca verrà letta da pochi “eletti”, quella casta di potenti stile capo-tribù che dispone dei mezzi per vivere agiatamente e per spandere lussi e mollezze ai propri discendenti, ascendenti e sodali. Così le eventuali repliche, precisazioni e proteste. Tutto resterà nel ristretto giro degli addetti ai lavori mentre il popolo, pieno di affanni, continuerà ad elemosinare la sussistenza quotidiana che, in qualche modo più o meno dignitoso, gli verrà assicurata. Vincerà il “De Filippo” di turno, fino a quando i borghesi non sdegneranno se stessi oppure il popolo prenderà a leggere i giornali invece che bruciarsi il desiderio di riscatto dietro i grattaevinci.


LUCANIA

Io lo conosco
questo fruscìo di canneti
sui declivi aridi
contesi dalla frana
e queste rocce magre
dove i venti e le nebbie
danno convegno ai silenzi
che gravano a sera
sul passo stanco dei muli.
E' poca l'acqua che scorre
e le vallate son secche
spaccate, d'argilla.
Di qui le mandrie migrano
con l'autunno avanzato
per la piana delle marine
tuffando i passi nelle paludi.
Di qui è passata la malaria
per le stazioncine sul Basento
squallide, segnate d'oleandri.
Da noi la malvarosa è un fiore
che trema col basilico
sulle finestre tarlate
in un vaso stinto di terracotta
e il rosmarino cresce nei prati
sulle scarpate delle vie
accanto ai buchi delle talpe.
Da noi si riposa il falco e la civetta
segna la nostra morte.
Da noi il mondo è lontano,
ma c'è un odore di terra e di gaggìa
e il pane ha il sapore del grano. (Mario Trufelli)

1 commento:

  1. Amaro articolo, caro Piccenna. Qualche lucano forse inizia a svegliarsi da questo torpore che ci affligge guardando il risultato di Magdi C. Allam. E' ancora poco. Ma è un inizio. Per altri cinque anni saremo (sarete, vivo in Lombardia) costretti a subire il non governo del governatore più votato (in percentuale) d'Italia. Mi chiedo solo quando il popolo smetterà di elemosinare e si renderà conto che una buona amministrazione non è un favore ma un diritto che possono e debbono pretendere.


    Questi miei colli.

    Io non so perché tendo le mani
    a queste nude colline
    e poi più lontano, forse nel sole
    ma qui ascolto voci all'infinito
    qui lo scirocco ha sapore di spiaggia,
    da bimbi si scrutava l'orizzonte
    per cercare un lembo di mare.
    Qui la tramontana dà fiato ai lupi
    porta l'odore di resina dai pini
    logorati di gelo, il pianto delle querce.
    Qui confina il cielo e non sento
    che sospiri profondi di libeccio
    odoroso d'aria come di terra bagnata.
    Qui nasce un mito qui muore
    tra questi miei colli flagellati dal vento.
    (M. Trufelli)

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